un pensiero limpido che non so se riesco a esprimere

Io avrei cominciato  a metter via parole, a mano a mano che arrivavano, spontanee. Volevo conservarle in una scatolina, un salvadanaio, una borsina di tela, solo che poi mi son scordata di raccoglierle,  a mano a mano che arrivavano, e le ho lasciate ripartire senza rimpianto.
Son rimasta a corto di una lingua che descrive ma ci ho guadagnato di vivere giornate piene e gioiose, che a ricordarle le parole sono di troppo, a doverle raccontare sarebbero comunque poche.

a gambe levate

Ci sono certi che per via del fatto che sono bravi a scrivere, a inventare bene le storie, o a raccontare bene se stessi, ti immagini che siano anche bravi a vivere.

Invece magari, di vivere, quelli, non son proprio capaci; e spendersi per dei rapporti veri, a quelli, fa un po’ paura: ché dentro la letteratura sembra tutto più semplice, e se una cosa non va come vorresti basta cambiare la storia e far succedere quello che desideri. Nella vita non è mica così, e tocca prendere quello che càpita. Tocca rischiare, qualche volta.

Allora c’è da sperare di non essere così bravi, a scrivere, ma di riuscire a vivere come si deve, anche a costo di rimetterci, ogni tanto, un pezzettino di cuore. Ché vedere uno che scappa a gambe levate fa riflettere.

 

capirsi

Barbara, quando intuisce che sta per piovere, porta dentro i fiori.

Sta per succedere di nuovo, lo sento. E come al solito l’inquietudine sale; come al solito, l’impotenza mi opprime.
Non riesco a fare a meno di sentire che, se fossi un fiore, la pioggia me la vorrei prendere tutta; mi preparerei all’acquazzone con un misto di trepidazione e desiderio. Mi agiterei per il vento e fremerei per l’elettricità dell’aria, pensando alle prime gocce con tutta l’intensità dell’attesa.
Vorrei prendere il rischio di perdere i petali uno ad uno sotto la violenza del temporale, per il gusto di aver vissuto appieno la mia natura.
E allora al riparo, sotto la tettoia, chiamerei in aiuto il vento ad alta voce, perché portasse almeno un poco di quell’acqua fino a me.
Piangerei, credo, se fossi un fiore.

Immagino Barbara affaccendarsi in terrazza, con la fretta di chi sa che le prime gocce, pesanti, rumorose, solitarie, non tarderanno a scendere. Immobile, inerte, aspetto: io che so eppure non ho mai trovato le parole per spiegarle il mio tormento per l’incompresa ma palpabile disperazione dei suoi gerani rossi.

Anche oggi Barbara porta dentro i fiori, e io li sento lamentarsi, a mano a mano che le nubi si avvicinano.

senza ricetta

Secondo me son capaci tutti*, di andare a fare la spesa e di comprare tutto quello che serve; poi tornare a casa e con il libro di ricette ben aperto sul ripiano di cucina, con la bilancina pronta all’uso, seguire passo passo le istruzioni per realizzare qualche piatto mirabolante inventato da chissà quale grande chef.

La cosa divertente, interessante, forse difficile ma senz’altro più  stimolante, è tirare fuori dal frigo quattro ingredienti strampalati e guardarli intensamente, annusarli, pensarli uno vicino all’altro e poi (a occhio, a naso, a sentimento) trasformarli in qualcosa di certamente commestibile ma, se possibile, anche gradevole al palato.

Non sono sicura che la metafora sia comprensibile, ma io oggi ho l’emicrania

 * si fa per dire. Quelli che non sanno tagliare una cipolla probabilmente non son capaci

probabilmente male

agli amici del Gazzocamp, a quelli che non c’erano e ci son mancati, a quelli che la prossima volta, spero, ci saranno

 

Probabilmente male, ma lo devo scrivere, ché non lo so mica com’è che funziona.
 

 

 

Succede che sei lì in disparte; in disparte in senso metafisico perché fisicamente sei lì, e per niente in disparte, anzi sei proprio in mezzo, fisicamente. Non ti vuoi defilare, solo hai che ti sale qualcosa che assomiglia alla paura di non essere all’altezza, e allora non fai altro che abbandonarti a quello che ti viene più naturale: parlare poco, ascoltare di più, sorridere solo se ti viene, capire quello che riesci.

Una cosa che non hai mai saputo fare è sembrare quello che non sei, e in occasioni come queste tanto vale lasciarsi conquistare da quello che hai intorno, che ti può distogliere da quello che hai dentro. Quello che hai dentro non sai come chiamarlo ma è una cosa che conosci bene e che in tante occasioni ti ha reso le cose difficili.

Sembra impossibile che oggi, anche senza la corsia facilitante dell’alcool di cui intorno a te si sta facendo un uso allegramente socializzante, ti risulti estremamente semplice abbandonarti al flusso di sorrisi e parole, come se il blocco di ghiaccio che di solito ti si solidifica al livello del diaframma quando sei in mezzo ad estranei si sia squagliato nonostante la temperatura più primaverile che estiva.
Sarà la corrente di affetto, una sorta di inspiegabile movimento di energia, sarà la scoperta di fisicità inattese che in un lampo diventano familiari. Sarà che in uno sguardo trovi parole che non hai più bisogno di dire e amicizie che speri non finiscano lì.

 

 

 

di capelli d’angelo o catene

Facciamo che io ero il foglio e tu la corda. Io e te facevamo un legame: un legame stretto o lasco, solido o effimero, evidente o invisibile. Facciamo che tu lasciavi la tua impronta su di me, leggera come una conversazione virtuale o profonda come una scopata senza ritegno. Facciamo che poi in certi casi tu non c’eri più ma mi restavi dentro, incastonato come un diamante e più concreto di un ricordo.

Il segno che mi hai lasciato mi ha fatta come sono, in una pagina di quelle che compongono il mio libro.

In lavorazione (untitled yet):

fettuccia piatta

fettuccia piatta

rete di nylon

rete di nylon

filo di carta spinato intruso

filo di carta spinato intruso

joyful girl

A un certo punto lo Splendido mi chiede se sono felice e io mi accorgo che sì, mi sa che sono felice.

Secondo me per essere felici non ci vuole proprio niente: non è che sei felice quando non hai nessun problema e hai tutto quello che chiedi. Succede che un giorno ti svegli e ti rendi conto che magari non è il periodo migliore della tua vita, che il lavoro non è un granché, che non hai i soldi per andare in vacanza e per comprarti un vestito nuovo, però ti reputi una persona fortunata e riesci a dare più peso alle cose che hai rispetto a quelle che vorresti.
E però anche per essere infelici non ci vuole niente: certe volte anzi pensi di avere tutto quello che desideri e sei infelice lo stesso. Ti sembra che l’insoddisfazione ti abiti dentro come una tenia che ti succhia ogni entusiasmo lasciandoti sgonfio e povero e incapace di reagire agli stimoli.
L’infelicità è come una malattia che ti toglie dagli occhi tutti i colori.

In questo periodo mi sembra che mi abbiano fatto un incantesimo e vedo le cose come se ci fosse il sole tutti i giorni, a spolverare il mondo dal grigio. Io il colore che preferisco è il blu.

 

(joyful girl)

i segni dell’età (forse)

Avranno sui 18 anni, entrambe: una sta studiando i quiz per la patente, l’altra sbatacchia svogliatamente a destra e a sinistra un libro di biologia. Si vede che di concentrarsi non hanno voglia, e forse quello non è il posto giusto, in effetti.
Parlano, mentre io a un pc che non è il mio approfitto di un momento per controllare la posta. Parlano non so di cosa: non le ascolto; finché una frase isolata mi arriva al cervello senza quasi passare per le orecchie.
“I vecchi – la tipa dice così, i vecchi, ma per qualche ragione capisco che intende gli adulti – pensano che la vita sia tutta cultura e letteratura, invece c’è dell’altro.”
Dell’altro mi sembra che nelle sue intenzioni voglia dire i ragazzi, l’amore, lo svago, le vacanze, le passioni; la vita quella vera; il piacere in contrapposizione al dovere.

E io penso che la vita non può essere solo letteratura però anzi mi domando che letteratura si possa fare senza vita. Penso a come la divisione inconciliabile tra le esperienze vissute e la loro elaborazione io non l’ho mai avvertita, nemmeno a quell’età; e che a me la letteratura è sempre parsa una forma di espressione che si compenetra con la vita, ché nessuno si sognerebbe di leggere qualcosa che non può riconoscere.

Ma è anche possibile che mi stia sbagliando.

PS: volevo dire ai precisini che lo so che in Italiano pensare regge il congiuntivo, ma qui era una specie di rafforzativo alla francese, ecco. Cioè, non è solo pura ignoranza. E comunque questa è vita e non letteratura

provare per credere

Avvertenze: Se sei uomo, ti posso abbonare il primo
Se sei anche calvo, parte dell’ultimo
Se non hai figli, il primo e il terzo.
Per il resto non transigo:
La tenda, che tenga l’acqua
Le lettere, di carta
La pizza, come si deve

 

Cose per cui la vita può avere molto senso:

Partorire
Le lettere d’amore
Tuo figlio da piccolo, la prima volta che ti abbraccia
Le persone che ti guardano negli occhi
La bellezza che si rivela nel più buio dei momenti
Parigi con un’amica
Fare l’amore in tenda quando piove
La pizza
Il mare pulito quando fa caldo
La Sicilia in primavera
L’odore della pioggia d’estate
Un bacio sulla bocca con le dita tra i capelli

 

Si accettano consigli per eventuali future sperimentazioni 

V.M. 16 anni (agli altri può far solo bene)

(post orgasmic chill heat)*

Stanno da minuti silenziosi intrappolati in un intreccio di gambe e di mani da cui non accennano a sciogliersi, venendo a galla lentamente, entrambi, dal sonno imprevisto e leggero che li ha sorpresi dopo un momento di estasi più carnale che mistica.

“Sei bella da guardare e da toccare”.
Lei tace, perché bella non si è mai sentita, mai una volta in tutta la vita. Eppure crede a quello che lui dice; sarà per l’espressione dei suoi occhi, sarà per il mezzo sorriso che le rivolge mentre parla.
“Sei bella da guardare e da toccare”. Non dice anche: “Sei bella da farci l’amore”, ma si capisce che l‘ha pensato, prima; prima del sonno. E che lo pensa anche adesso.

Lei non considera nemmeno la possibilità di svincolarsi dalla stretta in cui si immagina eternamente pietrificata nell’eruzione di tanto amore: le piace affondare e respirare nell’umidità tiepida di quell’abbraccio.
E poi non c’è fretta: il pomeriggio per fortuna non è ancora finito.

 

*se non si fosse capito: questo è un riferimento musicale