Il pane è un po’ un miracolo e un po’ una magia.
Non si capisce come, certe volte ti sforzi di seguire delle ricette e pesi la farina giusta, il lievito rinfrescato con un criterio orario rigoroso, l’acqua alla temperatura ideale. Pensi di ottenere una pagnotta perfetta e ti ritrovi con un mattone, o con una palla di gomma, anche se apparentemente non hai sbagliato niente.
Spesso pensi che ti sfugga qualche segreto alchemico oppure più banalmente ti senti incapace.
Altre volte mescoli a casaccio dei rimasugli di farine male assortite con una pasta madre rinfrescata di corsa perché te ne sei ricordata in ritardo, sali a occhio, versi una quantità approssimativa di malto versandola dal vasetto, aggiungi l’acqua in fretta e furia direttamente dal rubinetto e però impastando vedi che la palla assume subito una liscezza goduriosa bella da toccare. Lasci lievitare in un posto esageratamente caldo perché hai letteralmente le ore contate, poi dai due pieghe (premature) a sentimento calcolando il tempo che ti rimane prima di infornare, tagli con decisione e sotto il coltello avverti la compattezza perfetta dell’impasto ma sai che con tutti gli errori che hai fatto hai pochissime possibilità di riuscita.
Eppure il pane in questi casi ti premia: per l’intenzione, la caparbietà, il coraggio. Lo vedi crescere in forno e assumere quel colore bruno e caldo solo per la tua soddisfazione. Lo sforni ed è compatto ma leggero, lo senti dal peso che è venuto bene, lo capisci ancora prima di tagliarlo.
Perché il pane è come quando non ti aspetti niente dalla vita e invece ti arriva un regalo