So di aver già detto e scritto da qualche parte che non son portata per lo shopping. L’atto di comprare di per sé non mi dà alcun godimento, provarmi i vestiti non mi piace, scarpe ne compro poche perché alla fine ho addosso sempre le stesse. Le borse sono contenitori di cui mi importa pochissimo, le cinture mi sevono unicamente se ho i pantaloni troppo larghi, quindi quasi mai. Ho dei problemi certamente con le librerie perché lì si innesca un meccanismo perverso per cui il desiderio si fa pungente e il richiamo delle sirene irresistibile. Spesso dalle librerie mi tengo alla larga apposta perché sono sicura che ne uscirei ricchisima ma povera.
Poi ci sono due negozi che per me sono i luoghi del demonio, dei posti in cui potrei tranquillamente passare il pomeriggio anche se so che non mi serve niente perché sono posti in cui tutto, anche quello che non sai bene cosa sia, diventa potenzialmente una cosa utilissima. Questi luoghi del demonio sono le mercerie e i negozi di ferramenta.
Nelle mercerie io ho sembre bisogno di tutto anche se non ho necessità di niente perché nel mio luogo di lavoro ideale ci sono dei metri di filo, spago, corda, nastro, di qualunque tipo e colore e materiale. Perché non si sa mai quando ti viene voglia di usare quelle cose lì. Per non parlare dei bottoni e degli aghi (io sono sempre alla ricerca di aghi) e dei pizzi e dei pezzi di stoffa, di feltro, di garza, di fodera. Un po’ tutto all’insegna del “non so a cosa mi serva ma mi serve”.
Nei negozi di ferramenta è uguale. Comprerei tutto: legnetti, colle, colori, vernici, pezzi di ferro che non so a cosa siano adatti, attrezzi che non ho mai visto in vita mia. È evidente che qualunque cosa ha un uso proprio e anche uno improprio ed è proprio dell’uso improprio che io tendo istintivamente ad appropriarmi.
È incredibile che non sappia usare un trapano e nemmeno una macchina da cucire: anzi più che altro è un peccato perché li vorrei. Quasi quasi me li compro.