I hate shopping

Io non è che abbia mai creduto di essere unica, ma certo mi son sempre sentita un po’ diversa dal resto dell’universo femminino che, si sa, ha un’ evidente propensione per lo shopping compulsivo che si concentra in special modo nei periodi cruciali della vita, o nei giorni bui della sindrome premestruale.

A me, se devo dirla tutta, lo shopping mi stressa e mi deprime, soprattutto se si tratta di abbigliamento/accessori/scarpe.
Prima di tutto, ho gusti difficili, nonostante io mi vesta nel modo più essenziale (banale?) possibile. Le vetrine dei negozi quasi mai mi attraggono e le rare volte in cui vengo conquistata da un capo che mi sembra perfetto è solo per scoprire che ha un prezzo esorbitante, il che mette in moto tutto un meccanismo di autocoscienza per cui, anche nell’ipotesi di un budget illimitato, mi verrebbe da considerare quell’acquisto assolutamente immorale e quindi improponibile.

Nelle occasioni più uniche che rare in cui il capo perfetto in questione è anche abbordabile dal punto di vista economico si dà il caso che entri in gioco la questione della mia taglia, che a quanto pare nessuno stilista al mondo si è mai degnato di prendere in considerazione. La mia taglia è una 40/42, solo accorciata di una ventina di centimetri rispetto all’altezza della donna taglia 40/42 media (sono nanerottola, esattamente): quindi in pratica è quasi garantito che la prova-specchio darà risultati agghiaccianti.
Meglio desistere.
E però, dopo un pomeriggio di ricerca infruttuosa, ormai l’umore è guastato, l’insoddisfazione monta e tornare a casa in quello stato non è sano, anzi potrebbe essere pericoloso per gli equilibri familiari.

Allora l’unica cosa da fare è fiondarsi nell’unico negozio in cui il godimento da shopping è puro, gratificante ed esente da frustrazioni; il solo senza camerini in cui accumulare rancore e delusioni; quello in cui ti senti veramente un cliente come gli altri, alti bassi magri o obesi che siano. Che poi è anche quasi l’unico locale commerciale, ad esclusione del supermercato, dove ti è permesso girare indisturbato tra gli scaffali; dove ti è consentito toccare la merce senza la sovrintendenza di un commesso; dove ti senti finalmente libero di prenderti il tempo di fare le tue scelte con criteri del tutto personali – e perciò ineccepibili -, con un senso estremo di leggerezza e con una soddisfazione, finalmente, inequivocabile.

Ecco, per dire che la libreria ha quella funzione antidepressiva anche per me: è per quello che certe volte devo proprio starne alla larga, oppure entrarci senza bancomat e con gli spiccioli contati per comprare il latte ai miei bambini. Oppure, mentre sono lì, anticipare mentalmente compleanni di amici e parenti o ricorrenze da festeggiare e, messi definitivamente da parte i sensi di colpa per l’imminente svuotamento di portafogli, dedicarmi serenamente all’acquisto di libri da regalare.

E poi tornarmene a casa con le tasche leggere, le braccia cariche e lo spirito sollevato.

Questo post era per la Silvia

 

 

 

 

 

 

 

verbo velenoso

A lei la parola era sembrata sempre innocua. Non fine, non elegante, certo, ma innocua.
Ci aveva giocato spesso, lasciandola salire silenziosa alle labbra e facendola scivolare tra i denti in un movimento a serpentina. Aveva avuto, a volte, la tentazione di sussurrarla con un filo di fiato; in altre occasioni si era accontentata di immaginarla, scritta col gesso bianco su una lavagna nera.

Poi arrivò un giorno in cui la parola le spuntò in gola senza preavviso – fu per via delle avances poco galanti di un uomo – e da vibrazione di corde vocali si fece onda sonora, schiocco di voce, sputo di rabbia.

A lei era sembrata innocua, sempre, la parola, prima di allora.

(n.b.: cerca con google parolacce mortali)
(sempre dalla solita idea di trabucco)

Let the morning time drop all its petals on me

Oggi non lo so che cosa sia, ma sento che ho il cuore vicino alla gola.
Forse è per il sollievo al caldo dei giorni passati, ma mi capita di leggere e sentire e immaginare voci e sentire che fanno un effetto del tutto nuovo e inatteso, amplificato dalla nuova e inattesa predisposizione all’ascolto. O forse l’aria rinfrescata di oggi non c’entra nulla ed è solo che ho bisogno di uscire un po’ dalla routine egocentrica degli ultimi tempi e mettermi in una posizione defilata e ricettiva.

So con una certezza disarmante che la giornata mi porterà, forse più di una volta, sull’orlo delle lacrime e la cosa invece di dispiacermi mi sembra un miracolo.

http://www.youtube.com/watch?v=DoWF2YalYvI

fa bene al cuore

da un’idea di Trabucco

Fallo.
Lasciati andare.
Concediti un momento di piacere solitario o condiviso.
Non pensarci troppo, ché certe cose vanno fatte senza badare ai sensi di colpa; anzi pensaci: pensa che lo stai facendo perchè da questa esperienza uscirai più felice, in un viavai di neurotrasmettitori eccitati dalla novità.

Io mi sento di tranquillizzarti. La meringa non fa male per il colesterolo. La pizza è veramente povera di grassi saturi. E se anche fosse: se la meringa fosse veleno per le tue arterie, se la pizza contenesse dosi massicce di grassi animali… mangiale lo stesso, che fanno bene. Al cuore. In senso metaforico

il confronto che convince

Mi trovo nella sala d’aspetto di un ambulatorio medico e, come si fa di solito mentre si aspetta, mi guardo intorno per cercare qualcosa da leggere. C’è una pila di riviste che non riconosco; ne prendo una. Le riviste negli studi medici sono diverse da quelle dei parrucchieri, per dire. Più serie, meno pettegole. In genere.

Questa rivista qua, che ho in mano, prima di tutto la studio per capire che roba sia. Capisco che non la riconosco perché è l’inserto settimanale di un quotidiano che non ci penso neanche lontanamente né di leggerlo né di comprarlo né di aspettarne con ansia l’inserto. Il quotidiano è Il Giornale, l’inserto si chiama Tempi.

Mi dico che sono fortunata ad avere l’opportunità di scoprire qualcosa su una rivista di cui ignoravo anche l’esistenza e – badate bene – mi accingo a leggerla con animo scevro di qualunque preconcetto.

Vi risparmio le mie considerazioni sugli argomenti trattati nella umoristica rivista.

Vi risparmio le mie considerazioni sullo spessore giornalistico della simpatica rivista.

Vi risparmio le mie considerazioni sulla qualità della scrittura che ho potuto riscontrare nella divertente rivista.

Vi dico solo che ho rimpianto il numero di Vip che ho intravisto ieri in autogrill in cui si svelava con splendide foto pseudoautentiche l’abitudine di Paris Hilton di girare senza biancheria intima.

PS: per la cronaca, l’altra rivista che non riconoscevo era quella di comunione e liberazione, che non mi ricordo che titolo abbia perché non avevo mai letto nemmeno quella, ma che nel suo genere poteva anche essere accettabile, in confronto.

il vantaggio di avere dei lettori tanto affezionati

Certo che uno si allontana un paio di giorni, ché c’ha da fare delle cose: impegni inderogabili, li chiamano; e voi in quei due giorni lì scrivete di tutto, così di tutto che il google reader mi dice guarda che hai da leggere 44 post (quarantaquattro) e la fanzine della sid me ne segnala altri venti, e io mi domando: tutta questa roba, che sarà probabilmente della roba che non me la posso perdere, ché se me la perdo poi mi son persa un pezzo di storia di blog, ma come faccio io a leggermela tutta?

Adesso faccio che leggo solo quelli che amo di amore vero, che anche se scrivessero solo cazzate sono sicura che sarebbero cazzate scritte bene, il che non è poco. Gli altri non c’ho tempo, ma siccome voi siete persone tanto carine lo so già che verrete volentieri a segnalarmi delle cose che non mi devo perdere, vero?

Si accettano anche segnalazioni autoreferenziali, purché motivate (ma questo solo per divertimento, le motivazioni)

in the morning

A me capita abbastanza spesso di addormentarmi da sola – lo Splendido è uno che ha una vita sociale, mica come me – però mi succede raramente di svegliarmi da sola – lo Splendido ha una vita sociale ma poi a qualche ora a casa ci torna, ché in questi anni l’ho educato bene. Quando torna io in genere non me ne accorgo perché ronfo come un dromedario dopo una scarpinata nel deserto, ma la mattina arriva puntualmente l’allungo di braccio/gamba come a dire, ancora prima di aprire gli occhi, “guarda che ci sono”.

Ecco, stamattina ho dovuto svegliarmi da sola, senza allungo di niente; e volevo dire che invece svegliarsi in due è molto, molto meglio.

“Il bambino e la città” (un post che salta di palo in frasca)

Penso che i testi che trattano di psicopedagogia siano molto utili ai genitori che, dopo averli letti, possono tranquillamente fare come gli pare, ma con l’animo più sereno.

Mi è venuta in mente questa cosa qui, oggi, ripensando al titolo di un libro di Françoise Dolto, che io ho letto e poi dimenticato, come al solito, anche se di sicuro leggendolo qualcosa avrò pensato e questo avrà senz’altro contribuito a fare di me la madre che sono.

Il titolo del libro mi è tornato in mente perché oggi Lorenzo doveva fare una cosa che non aveva mai fatto prima. Doveva uscire da scuola da solo e andare a piedi fino a casa di sua zia: in un certo senso doveva appropriarsi della città, una cosa che ai miei tempi era normale – tutti i bambini andavano a scuola, a catechismo, in palestra da soli. I bambini moderni no, non lo fanno più, e per tante ragioni.

Lorenzo era molto fiero di potersi arrangiare. Ha detto che a lui piace gironzolare da solo; credo che lo faccia sentire grande.

Mentre lui usciva da scuola da solo, io, dall’altra parte della città, pensavo a come i bambini per me sono come il pane. Io per fare il pane non riesco a seguire le ricette, e per educare i bambini non sono capace di seguire i manuali. È come se ti dicessero cosa devi fare senza sapere quale materia prima hai a disposizione. Allora io leggo le ricette e i manuali però poi faccio quello che mi dicono le mani e la pancia. La pancia, sì.

PS: Françoise Dolto è quella che ha inventato la Casa Verde e per questo le sarò sempre grata.

PPS: il pane comunque mi viene bene e i bambini… anche, secondo me.