Prima di tutto, ho gusti difficili, nonostante io mi vesta nel modo più essenziale (banale?) possibile. Le vetrine dei negozi quasi mai mi attraggono e le rare volte in cui vengo conquistata da un capo che mi sembra perfetto è solo per scoprire che ha un prezzo esorbitante, il che mette in moto tutto un meccanismo di autocoscienza per cui, anche nell’ipotesi di un budget illimitato, mi verrebbe da considerare quell’acquisto assolutamente immorale e quindi improponibile.
Meglio desistere.
Allora l’unica cosa da fare è fiondarsi nell’unico negozio in cui il godimento da shopping è puro, gratificante ed esente da frustrazioni; il solo senza camerini in cui accumulare rancore e delusioni; quello in cui ti senti veramente un cliente come gli altri, alti bassi magri o obesi che siano. Che poi è anche quasi l’unico locale commerciale, ad esclusione del supermercato, dove ti è permesso girare indisturbato tra gli scaffali; dove ti è consentito toccare la merce senza la sovrintendenza di un commesso; dove ti senti finalmente libero di prenderti il tempo di fare le tue scelte con criteri del tutto personali – e perciò ineccepibili -, con un senso estremo di leggerezza e con una soddisfazione, finalmente, inequivocabile.
Ecco, per dire che la libreria ha quella funzione antidepressiva anche per me: è per quello che certe volte devo proprio starne alla larga, oppure entrarci senza bancomat e con gli spiccioli contati per comprare il latte ai miei bambini. Oppure, mentre sono lì, anticipare mentalmente compleanni di amici e parenti o ricorrenze da festeggiare e, messi definitivamente da parte i sensi di colpa per l’imminente svuotamento di portafogli, dedicarmi serenamente all’acquisto di libri da regalare.
E poi tornarmene a casa con le tasche leggere, le braccia cariche e lo spirito sollevato.
Questo post era per la Silvia