c’è da star male

Conosco molto bene la Sindrome di Stendhal perché è la malattia di cui soffro ogni volta che (lo so è banale e appena un po’ iperbolico), apro incautamente la home page o addirittura le mie board di Pinterest. È una cosa curiosa perché le mie board le ho riempite io: dovrei essere preparata (anche se per la verità la mia memoria corta mi permette di stupirmi ogni volta) eppure vedere lì messe tutte in fila una miriade di meraviglie è ogni volta un tonfo al cuore. Ho imparato ad accedervi con una certa circospezione, preparandomi mentalmente,  in anticipo, per evitare di stare male fisicamente.

La stessa cosa in maniera più evidente mi capita in certi musei – quando la concentrazione di opere d’arte è superiore alla mia capacità di sopportazione, e improvvisamente vengo sopraffatta da un senso di impotente piccolezza di fronte all’incanto inarrivabile e inesauribile del genio creativo – e spesso davanti a un unico capolavoro, che pare racchiuda ed esaurisca in sé il miracolo e il mistero dell’ispirazione artistica.

Mi capita di trovarmi al tempo stesso in un curioso stato di euforia e depressione contemporaneamente:   la prima indotta dal privilegio di trovarsi al cospetto della Bellezza, la seconda causata dal senso di inadeguatezza che ne deriva. Non è del tutto doloroso, non è solo esaltante.

Di qualunque genere di manifestazione artistica si tratti, l’emozione che si prova è la stessa: la contemplazione partecipe dell’opera d’arte non è riposante né indolore, mette in moto meccanismi emotivi e psichici che parlano di come siamo e di come vorremmo, invece, essere.
Il Sublime, si sa, atterrisce, attrae, attraversa.
A me piace ogni tanto lasciarmi attraversare, pur sapendo che non ne uscirò indenne. Ho ancora da capire perché.