Pensiero stupendo (comunque a me non piacciono i macarons)

Oggi ero lì che facevo una cosa che con il cibo non c’entrava nulla: ero a lezione di Pilates, e cercavo di non vedere allo specchio la mia faccia stravolta dalla fatica di tornare a ginnastica dopo una pausa di due settimane: cosa che, come sanno tutti quelli che fanno Pilates,  stronca a morte i tuoi muscoli disabituati all’esercizio. Per fortuna i miei addominali rispondevano abbastanza, ma nel dolore avevo bisogno di concentrarmi su un pensiero che mi alleviasse lo sforzo nella contingenza.

Il pensiero è arrivato.

Mi è venuta in mente quella sera in cui ho caldamente consigliato ai miei compagni di viaggio di assaggiare il macaron di Pierre Hermé, quello al caramello al fleur de sel. Se conoscete questo esempio di perfezione dell’arte pasticciera, sapete che esso provoca una sorpresa, una scossa, un corto circuito delle papille gustative, sollecitate contemporaneamente da stimoli diversi e contrastanti: il dolce dello zucchero, l’amaro del caramello, il salato del burro, in una vera e propria esplosione di sapori e consistenze che subito dopo ti lasciano allo stesso tempo pienamente soddisfatto ma anche già nostalgico di un piacere che (magari non immediatamente) vorrai riprovare.

In quel momento ero quasi dispiaciuta di non poter godere anche’io per la prima volta di questa scoperta che immaginavo meno strabiliante nella reiterazione (e qui comunque, a immaginare sbagliavo).

Destino volle che mia madre, una persona che non ha equilibrio nell’approccio con la gastronomia – soprattutto in viaggio, soprattutto all’estero, soprattutto in Francia, soprattutto a Parigi – si autocandidasse per fare la fila (non lunghissima) nella pasticceria, lasciando la truppa di adulti e bambini ad aspettarla fuori dal negozio.

Una volta a casa, dal pacchettino di Hermé (volevo tenerlo come reliquia ma penso che lo farò la prossima volta) ecco uscire anche un macaron di colore diverso, più chiaro; profumato, sconosciuto.
Un accostamento a cui mia madre non aveva saputo resistere e a cui mi sono avvicinata con trepidazione e curiosità: cioccolato bianco e frutto della passione. Voluttuoso, inebriante, perfetto.

Dov’è il teletrasporto che improvvisamente me ne serve assolutamente uno?

Lorenzo, il magnifico

Dicono che se la ginnastica artistica fosse facile si chiamerebbe calcio.  Ripenso all’aria afflitta del mio bambino quando sabato, alla sua prima gara a squadre, ha sbagliato il salto al volteggio.

L’ho guardato mentre cercava di mandare indietro le lacrime, fingendo di essere allegro per non mostrarsi fragile. Per tutta la gara ha evitato il mio sguardo per evitare di piangere; per tutta la gara l’ho abbracciato con gli occhi, orgogliosa come non mai della sua tenacia.

 Non è facile, quando hai otto anni e sei teso e spaventato, sbagliare il primo attrezzo e andare avanti lo stesso. Non è facile quando la squadra di tuo fratello, più grande, più forte, più bravo, arriva seconda mentre la tua arriva ultima. Non è facile accettare la responsabilità, tutta tua, della sconfitta.

 La ginnastica non è difficile perché è difficile. E’ difficile perché ti mette ogni giorno di fronte ai tuoi limiti e ti chiede di superarli.

Sabato il mio bambino ha vinto la sfida. E’ stato un grande risultato, secondo me.