L’umanità si divide in quelli che il mare e gli altri, che la montagna.
Tra i primi, ci sono coloro che al mare ci sono nati o cresciuti e che senza non potrebbero vivere; e gli altri che, siccome non ci sono né nati né cresciuti, allora vorrebbero abitarci, almeno per una parte dell’anno, e che appena possono ci tornano, rispondendo a un invito irrinunciabile.
Perché il mare ha questa predisposizione ammaliatrice che lo costringe a chiamarti con la sua voce di acqua e di vento, che una volta che l’hai conosciuta la senti anche da lontano e di tanto in tanto si fa viva nei ricordi, come il profumo di una persona amata.
Poco importa che si appartenga al gruppo degli spasimanti del mare d’inverno o a quello degli amanti del mare d’estate: lui è seduttore in tutte le stagioni.
Mi piace più di tutto il momento in cui si manifesta con l’odore, sposalizio di aria e acqua, prima ancora di farsi raggiungere dagli occhi.
Poi quando mi incanta con il rumore: sciabordio di code di sirene, indaffarate in danze sottomarine.
Solo alla fine decide di sedurmi lo sguardo: mutevole, policromo, instancabile e imprevedibile, mi ipnotizza con racconti di avventure, segreti e tesori perduti.
Per quelli che solo la montagna nutro una sorta di istintiva diffidenza e li frequento il meno possibile, quindi non è che abbia molto da dire a riguardo.