una cosa assurda che però mi piace tantissimo

Quando faccio il pollo in umido (sai, quello col pomodoro etc) ci metto dentro un sacco di patate con il preciso intento che resti per il giorno dopo un po’ di pollo con un sacco di patate intorno.

Poi, quando nessuno mi vede, mi piace rubare le patate direttamente dalla pentola, appena prima di scaldare gli avanzi, e mangiarmele così, fredde, con il sugo leggermente solidificato dalla bassa temperatura. Il pollo, caldo, lo lascio volentieri agli altri.

l’umanità si divide/2

L’umanità si divide in quelli che il mare e gli altri, che la montagna.

Tra i primi, ci sono coloro che al mare ci sono nati o cresciuti e che senza non potrebbero vivere; e gli altri che, siccome non ci sono né nati né cresciuti, allora vorrebbero abitarci, almeno per una parte dell’anno, e che appena possono ci tornano, rispondendo a un invito irrinunciabile.
Perché il mare ha questa predisposizione ammaliatrice che lo costringe a chiamarti con la sua voce di acqua e di vento, che una volta che l’hai conosciuta la senti anche da lontano e di tanto in tanto si fa viva nei ricordi, come il profumo di una persona amata.
Poco importa che si appartenga al gruppo degli spasimanti del mare d’inverno o a quello degli amanti del mare d’estate: lui è seduttore in tutte le stagioni.

Mi piace più di tutto il momento in cui si manifesta con l’odore, sposalizio di aria e acqua, prima ancora di farsi raggiungere dagli occhi.
Poi quando mi incanta con il rumore: sciabordio di code di sirene, indaffarate in danze sottomarine.
Solo alla fine decide di sedurmi lo sguardo: mutevole, policromo, instancabile e imprevedibile, mi ipnotizza con racconti di avventure, segreti e tesori perduti.

Per quelli che solo la montagna nutro una sorta di istintiva diffidenza e li frequento il meno possibile, quindi non è che abbia molto da dire a riguardo.

l’umanità si divide/1

L’umanità si divide in quelli che hanno sempre paura di aver detto troppo e gli altri, che temono perennemente di non dire abbastanza.
Potremmo dire i sintetici e i prolissi, se non fosse che i termini non decifrano perfettamente la complessa psicologia umana.
In realtà i due atteggiamenti opposti denunciano in un caso la paura delle parole dette, come se pronunciarle (oppure scriverle) rendesse i pensieri trasparenti e definitivi e quindi mettesse chi li esprime in una condizione di estrema vulnerabilità; nell’altro la paura delle parole taciute, dell’incomprensione dietro l’angolo, dei sentimenti da intuire: è una fragilità diversa, che si nutre di dubbio e insicurezza.

Poi ci sono io, che ho difficoltà a capire di quale specie sono.

dove è facile dimostrare anche il contrario

Se ci piacessero sempre le stesse cose, se avessimo la stessa idea sulla vita, se volessimo le stesse vacanze, ci appassionassero gli stessi libri, se avessimo gli stessi hobby.

Se ci fossimo invaghiti degli stessi luoghi, se ci facesse impazzire lo stesso cibo, se ci commuovessero gli stessi film.

Se ci vestissimo allo stesso modo, se ci piacesse lo stesso colore, se votassimo dalla stessa parte, se avessimo lo stesso migliore amico.

Se avessimo scelto lo stesso lavoro, se ascoltassimo la stessa musica, se amassimo le stesse stagioni.

Forse non avremmo molto da dirci.

e pensare che non abbiamo nemmeno la comunione dei beni

Non ho mai fatto mistero della mia convinzione che il matrimonio abbia ragione d’essere, anche se oggigiorno non va più molto di moda promettere cose che non si sa se saremo in grado di mantenere.
Posso anche capirlo.
Però credo che le promesse valgano comunque come intenzioni, anche quando (capita) vengono a crollare sotto il peso delle nostre debolezze, o semplicemente dell’impietoso intervento del tempo, che cambia gli aspetti del nostro panorama sentimentale anche contro il nostro volere.

Penso di essere come quei cani (anche il mio è così) che senza collare si sentono cani di nessuno: io il vincolo matrimoniale, che molti considerano un inghippo burocratico del tutto superfluo, e anzi deleterio nel momento in cui si abbia bisogno di scioglierlo, lo sento come un segno tangibile e confortante di appartenenza. La fede al dito mi fa lo stesso effetto del collare per il mio cane, significa sono tuo, dentro al collare c’è un numero di telefono, dentro la fede c’è un nome.

Stavo pensando a questo stamattina mentre rifacevo il letto, perché secondo me il luogo in cui si compie la definitiva perdita di completa individualità (so che questo vi fa paura ma a me no) è proprio quello: quando, il giorno in cui cambi le lenzuola e la sera ti metti a letto, aspetti quella mezz’oretta che impiega l’odore di due persone a fondersi in un odore solo e a sostituire il profumo delle lenzuola appena lavate, che è un profumo gradevole ma asettico.
Ecco, io il matrimonio lo vedo come il profumo dentro al letto: non è il mio, non è il suo, ma il nostro.