il post definitivo sulla più efficace tecnica di scelta e acquisto di un libro di carta (usato)

Da quando ho un kindle (quindi da diversi anni: è un modello vecchio, che ho sballottato per mari e per monti dentro borse e borsoni senza custodie né precauzioni ma se la passa ancora benissimo) leggo abbastanza in formato elettronico ma anche e ancora molti libri di carta; quel che è cambiato è che compro pochissimi libri nuovi  e invece molti libri usati: il motivo non lo so.

Probabilmente la vicinanza con Galla+Libraccio in fondo a Corso Palladio aiuta: se cerchi un libro che è uscito da un po’ non costa nulla fare un giro prima di là e poi, una volta che sei dentro, ti piglia il furore d’aver libri (cit.) e sei fregato. Trovo raramente quello che stavo cercando però non capita mai che riesca ad uscire senza comprare qualcosa.

Negli anni ho messo a punto una tecnica di scelta dei libri usati che secondo me è infallibile: sono necessari un po’ di pazienza,  un occhio di falco e delle idiosincrasie come io sola ho.

Innanzitutto parto un po’ svantaggiata per via della mia altezza: da Galla+Libraccio le scaffalature, giustamente, occupano tutto lo spazio che possono perché i libri hanno l’inconveniente che, non sembra, ma sono ingombranti. Il mio metodo infallibile parte dal presupposto di considerare solo i libri che posso vedere per intero, quindi quelli sotto il metro e sessanta di altezza, ma voi potreste essere più fortunati.

Per prima cosa vanno individuati i volumi che sono usati per davvero perché sono quelli il mio bottino ideale, quindi scarto  con un’occhiata quelli incellofanati, o che compaiono in più copie: è una cosa che richiede un po’ di tempo perché va fatta metro per metro e scaffale per scaffale ma una volta acquisita la tecnica diventa un gioco da ragazzi. Poi elimino senza pensarci due volte le edizioni odiose (ognuno ha le sue, io non starò a dire quali sono le mie ma, come ho già scritto altrove, sono snob).

Il secondo stadio consiste nell’aguzzare la vista per selezionare i volumi che sono palesemente stati letti, usati, manipolati. Qualunque lettore sa che una brossura mostra in fretta i segni dell’usura: delle righe verticali o una curvatura anomala del dorso ne sono l’indizio più evidente; è più difficile individuare un’edizione cartonata che forse si farà smascherare dalla sovraccoperta o dal taglio superiore: le carte leggermente imbrunite, o sgualcite, o semplicemente non perfettamente allineate: certo, ci vuole dell’allenamento e io, modestamente, ce l’ho.

Tra tutti questi volumi mi interessano quelli che, oltre ad essere stai letti o almeno presi in mano da qualcuno portano i segni della loro vita precedente. A me va bene tutto: una dedica, qualche nota, sottolineatura, commento. Più di tutto mi attraggono gli ex libris, segno che quei libri sono stati anche probabilmente amati. E le cartoline, i segnalibri, i biglietti di varia natura che la gente ci dimentica dentro. Non si può immaginare quante cose si dimenticano tra le pagine di un libro.

A questo punto in genere ho individuato almeno tre o quattro possibili acquisti e posso scegliere in base al titolo, all’umore, al sentimento: dipende. Qualche volta li prendo tutti e quattro.

Questa attività la consiglio per tutti i momenti in cui hai una mezz’ora da perdere perché piove o devi aspettare il bus, il marito che fa shopping, i figli in palestra, l’orario di inizio del cinema, o anche per tutte le volte in cui vuoi perderti tu: provare per credere. Voi che potete, cercate magari tra gli scaffali più alti: c’è tutto quello che ho lasciato io.

 

il post definitivo sulla più efficace tecnica di scelta e acquisto di un libro di carta

Oggi, nell’era prima del libro digitale – e non si sa ancora per quanto quindi approfittiamone – esistono ancora le librerie.
Non si capisce come mai – certamente l’Università del South Dakota Orientale ci sta facendo uno studio che sarà pubblicato a breve – ma le librerie esercitano tutt’ora un’attrazione incontrollabile nei confronti di una certa categoria di lettori, quelli che hanno l’insana abitudine di comprare i libri con criteri di scelta diversi dalla scartabellata alla classifica dei bestseller.
L’acquisto del bestseller non ha nulla a che vedere con il cuore: è una cosa di testa, razionale, asettica e per cui al giorno d’oggi non è più necessario entrare in un negozio e, anzi, entrare in un negozio potrebbe risultare (non sempre ma spesso) vagamente umiliante. Per fortuna c’è amazon.

Per l’acquisto guidato dal cuore mi sento di consigliare la consulenza di una guida di riferimento, da selezionare con cura perché dev’essere fidata e capace; nel mio caso è prima su tutte lei, la bibliotecaria che ognuno vorrebbe conoscere, quella che non sbaglia un colpo e che costituisce un inesauribile pozzo di ispirazione, per tutti i gusti e per tutte le occasioni. Come lei ce ne sono poche ma eventualmente può essere utile anche semplicemente il consiglio di un amico di cui conosciamo bene i gusti letterari (funziona esattamente come per i film).
Per questa opzione il negozio è indispensabile solo se non si è sicuri della propria guida, se si deve verificare da vicino che il libro abbia le caratteristiche adeguate (nel mio caso non lo è ma siccome mi piace entrare in libreria qualche volta fingo di dover verificare). 
Questo è certamente un modo per andare sul sicuro anche se so che è un sistema che spesso non soddisfa il lettore che vuole farcela da solo: lo capisco perché a volta sono così anch’io.

Ha a che fare con la pancia, invece, la scelta del libro dentro la libreria. Gironzolare tra gli scaffali è una goduria. Non conosco nessun vero lettore che non provi un piacere fisico a fermarsi in una libreria, fosse anche solo per ammazzare del tempo in stazione tra un treno e l’altro.
A me piacciono le librerie in cui le novità sono esposte in modo visibile e tutti il resto disposto in ordine tra gli scaffali.
Ognuno ha un ordine preferito tra cui spulciare, il mio sarebbe una divisione per casa editrice e poi alfabetico per autore, quindi praticamente una cosa che non esiste. Mi accontento di un ordine alfabetico per autore in scomparti divisi per nazionalità. Sempre meglio di niente. La cosa importante è sapere dove cercare le cose però in alcuni casi anche vagare a casaccio in una libreria sconosciuta può essere un’esperienza.

I criteri di scelta nell’acquisto di un libro sono molteplici e variabili e personalissimi, ognuno ne ha almeno uno ma più probabilmente diversi a seconda del momento e dell’umore e, questa è una cosa di cui sono profondamente convinta, sono tutti giusti.

Vado a spiegare i miei.

1. Sono convinta che i libri si facciano riconoscere. Non trovo affatto disdicevole essere attratti da un volume per la sua copertina come non lo è essere attratti da una persona per la sua faccia. È certamente possibile che poi il contenuto ci deluda ma capita spesso e volentieri che invece l’intuito ci riservi delle piacevoli sorprese.
È altrettanto facile, purtroppo, che un libro ci respinga per colpa della sua copertina, e ci faccia perdere così un’occasione d’oro. Questo, ahimè, è colpa di scelte editoriali infelici: personalmente non comprerei un volume con la copertina glitterata/argentata/in rilievo (faccio un’eccezione per libri che raccontano di notti brave al Muccassassina ma lì la copertina glitterata mi pare d’obbligo) anche se non biasimo chi lo fa, specialmente se ha meno di 12 anni.
Sono sostanzialmente sobria.

2. Il titolo di uno scritto mi attrae o mi respinge quasi quanto il suo aspetto: questo è un vero problema perché i titoli dei libri, specialmente in traduzione, non di rado sono un disastro. Ho sviluppato una specie di idiosincrasia verso tutti quelli in cui L’uomo/la mamma/il ragazzo/la bambina/il vecchio aveva o faceva qualcosa. So che rischio di perdermi storie meravigliose ma, a meno che non siano caldamente raccomandati da uno dei miei spiriti guida di cui sopra, quei libri non torneranno spontaneamente a casa con me.
Sono insofferente.

3. Le seconde, terze e quarte di copertina: le sbircio sempre. Secondo me dicono molto di un  libro. Quando dicono troppo, lascio. Quando non dicono abbastanza, dipende. A mia discrezione, ci mancherebbe.
Sono umorale.

4. Quasi sempre leggo l’incipit. Non perché sia convinta che sia fondamentale cominciare in bellezza, ma perché in genere è sufficiente per farmi capire quando la prosa non fa per me. Credo che il lettore abbia il diritto di farsi innervosire o conquistare dalle prime dieci righe, anche se in realtà gli incipit neutri sono la maggioranza. Ci sono persone affette da una perversione che le porta a leggere le ultime dieci righe, per scegliere un libro: è una cosa che io non farò mai ma le tratto alla stregua dei seguaci di libri glitterati (contenti loro…).
Sono abbastanza influenzabile.

5. Come molti tendo ad affezionarmi ai tipi dell’una o dell’altra casa editrice. Mi disaffeziono, anche. A tratti sono spinta verso l’ignoto. Di sicuro comunque ho delle antipatie feroci verso editori che potrebbero pubblicare anche Leopardi ma non degnerei di uno sguardo.
Sono snob.

6. Difficilmente acquisto libri cartonati. So che è una specie di perversione ma ho una netta predilezione per le edizioni economiche. Costano meno, pesano meno, occupano meno spazio, se la tirano meno. Ma soprattutto costano meno.
Sono tirchia, oppure squattrinata, oppure minimal. Forse tutto insieme.

7. Sono convinta che nessun autore sia infallibile ma se uno scrittore che mi piace pubblica un nuovo libro, metto in atto una verifica dei punti 1, 2, 3, 4, 5, 6 e, se nulla mi disturba, tendenzialmente lo compro. 
Sono fedele con cautela.

L’altro giorno ero giustappunto in una libreria quando un libro mi ha chiamata. Per il titolo, prima; per la copertina, poi; per la casa editrice (a me sconosciuta) alla fine. Mi ha chiamata così tanto che l’incipit non l’ho letto, ho dato solo una scorsa alla terza di copertina e il libro l’ho regalato, sulla fiducia.
Forse non saprò mai se faceva orrore o era bellissimo.
Sono temeraria.

un libro un euro

Quando decidi di eliminare un libro dalla tua libreria, un libro che ti hanno regalato e non ti è piaciuto oppure nemmeno hai letto; o un libro che hai letto e magari ti è anche piaciuto ma che non ci sta più in casa tua, ché magari devi traslocare riducendo al minimo la tua roba; o ancora un libro scomodo, che ti ricorda qualcosa e di cui vuoi liberarti: ecco, nel momento in cui lo abbandoni, lo vendi o lo regali a una biblioteca, un mercatino,un negozio di libri usati o un posto qualunque dove un fortunato lettore lo troverà per caso, devi ricordarti che quello che c’è dentro – una dedica, un biglietto, una nota a margine con la tua calligrafia – diventerà di qualcuno che prenderà possesso di un pezzetto della tua vita e farà supposizioni, intreccerà storie, indovinerà significati (o forse no).

Io oggi in un negozio di libri usati ho trovato un tuo libro che conteneva un biglietto. Lo vedi dallo stato della brossura quando un libro non è stato mai nemmeno aperto e di questo so per certo che hai letto a malapena il titolo. Mi è sembrata un’ingiustizia, un delitto, un abbandono: certamente l’eliminazione brutale di un regalo sbagliato. Magari non ti piace affatto leggere e la persona che te l’ha regalato non ti conosce così bene come crede.

Adesso però il libro ce l’ho io e anche il biglietto. E mi sento autorizzata a inventare le storie che voglio su di te e la tua mancanza di tatto, sull’uomo che ha forse sbagliato regalo ma non certamente intenzioni, a cui magari potrei dare un nome che si intoni alla sua scrittura.

Oppure a non inventare nessuna storia su di te e leggermi il tuo libro: un libro adottato non può che dare delle soddisfazioni.

(il libro è questo: Benjamin Tammuz, Requiem per Naaman, Edizioni e/o)

dove si scopre che il contrario di un pensiero scomodo è un pensiero scomodo uguale

Ci ho messo qualche giorno per farmi un’opinione e ancora non sono sicura che sia quella definitiva. La cosa è partita da una conversazione tra amici, si parlava dei libri che uno non vorrebbe che esistessero, nella sua casa, nella biblioteca del suo quartiere, magari nel mondo: autobiografie nauseabonde, trattati ideologicamente repellenti, teorie politiche inaccettabili.

Ascoltando il racconto di un’amica bibliotecaria che spiegava la difficoltà di respingere al mittente certi volumi, sulle prime mi son sentita d’accordo all’idea che si tenda a rifiutare il possesso di libri il cui contenuto in qualche modo ci turba: libri ambasciatori di idee che non ci appartengono e che vorremmo anzi allontanare con forza da noi e certamente non divulgare.
Poi però mi sono un po’ ribellata a questo sentimento che non mi piaceva.
La censura, ho pensato, o non deve esistere mai o può esistere in certi casi: il che significa sempre, se è vero che quando c’è uno che ha ragione c’è per forza un altro che ha torto, come dove c’è un cattivo ci dev’essere anche un buono, dove un santo un peccatore, dove un guelfo un ghibellino.
Troppo comodo gridare allo scandalo quando sentiamo proposte aberranti come quella di bruciare i libri di certi autori per le loro idee e dare per scontato che sia sacrosanto eliminarne altri.

Non sono affatto sicura di aver ragione ma penso che nascondere sotto la sabbia le idee che reputiamo sbagliate sia controproducente. Le idee che consideriamo pericolose, offensive, indecorose andrebbero sbeffeggiate, smentite, combattute a suon di dialettica. Sotto la sabbia possono restare intatte, ben conservate, finché a qualcuno non viene in mente di scavare con la paletta.
A lasciarle in piazza esposte al pubblico ludibrio o al sano contradittorio secondo me si consumano più in fretta.

“È solo un libro”

Il tono è simile a quello di “È solo un film” a un bambino che si è spaventato oppure “È solo un gioco” dopo una fallimentare partita di calcio, cosa peraltro da non dire mai se ti trovi in mezzo a un branco di tifosi e vuoi salva la pelle.

E se fosse che invece non è solo un libro, che quelle ore e quei giorni in cui ti tuffi in un mare altrui, del tutto sconosciuto eppure riconoscibile, fossero una reincarnazione nuova che ti è regalata?

Se l’umanità dentro la scrittura riesce ad essere così viva e palpabile da lasciarti respirare dentro la sua pelle, se la parola si fa pensiero, lo sguardo si fa viaggio, il racconto si fa vita; se puoi diventare madre, fratello, amante, senza esserlo mai stato, e patire, e sorridere, di sofferenze e gioie inaspettate; se arrivi a un punto in cui non sai se abbandonarti o rallentare perché arrivato in fondo sai che ti mancherà quel pezzo di storia che è diventata anche la tua: allora non son sicura che possa essere solo un libro.

mi chiamava

Entro in una libreria che poi è una libreria per ragazzi: mio figlio deve scegliere un libro per un regalo, mia nipote lo stesso. Abbandono subito i due a rovistare indisturbati. Non bisogna avere fretta quando si compra un libro e io ho dato loro il tempo che vogliono: si fiondano subito nella loro zona di competenza, uno a destra e uno a sinistra perché a una certa età i libri per ragazzi e quelli per ragazze sono divisi da un confine intangibile ma evidente.
Secondo me il tempo che si sta a guardare i libri è il tempo del desiderio: anche quando si sta cercando un libro per qualcun altro lo sappiamo bene tutti che in realtà ci stiamo perdendo nei sogni nostri. Li spio da lontano e so che nelle quarte di copertina che stanno divorando c’è la curiosità di scoprire storie che li rapiscono; e anche se il libro da regalare l’hanno individuato dopo tre minuti non mi dispiace che si attardino tra i volumi solo per il gusto di guardare esercitando il desiderio.
Il desiderio è bello anche quando non può essere soddisfatto.

Io intanto guardo lo scaffale striminzito dei libri normali, che poi lo so che tutti i libri son normali, ma insomma: libri non per bambini, ecco.
Lo faccio sempre, quando vengo qui, senza intenzione, distrattamente, quasi per abitudine. Stavolta però mi ipnotizza un librino che non conosco, di un editore che mi piace, con un titolo che mi attrae. Leggo la seconda e la terza di copertina, le prime righe della prima pagina, vedo che dentro ci sono dei piccoli disegni buffi. Deciso, lo compro: mi chiamava.
Il desiderio quando può essere soddisfatto è meglio.

peccato

In borsa tengo sempre due cose, oltre al portafogli e al cellulare (il cellulare neanche sempre perché son più le volte che me lo dimentico a casa): un quaderno per scrivere, che magari c’è bisogno di scrivere e mi serve un pezzo di carta; e un libro da leggere, che  non si sa mai che ci sia da aspettare dieci minuti e aspettare con le mani in mano a me non piace.

L’altro giorno pioveva e quindi sono arrivata al cinema prestissimo, ancora prima dell’ora da pensionati in cui cominciava il film. Niente paura, mi son detta, sguainando, sfoderando, tirando fuori il mio libro. Il mio libro era “Le storie di mia zia“.

Con “Le storie di mia zia”, non avevo letto neanche tre pagine e mi veniva da ridere, e si vede che pareva una cosa strana, ridere in una giornata così buia e piovosa, perché il mio vicino di poltrona di cinema ha cominciato a chiedermi cose sul libro e poi su di me e insomma pareva proprio che fosse invidioso che io potevo leggere “Le storie di mia zia” e lui no, perché chiacchiera, chiacchiera non mi lasciava continuare la lettura. Poi è cominciato il film.

Poi la sera, a casa, dopo cena, alla tele non c’era niente da vedere come al solito e noi ci siamo messi in quattro nel lettone e lo Splendido scriveva uno splendido pezzo frutto del suo insuperabile ingegno e io leggevo ai miei figli “Le storie di mia zia”, frutto del formidabile ingegno di Ugo Cornia.
Quando i ragazzi sono andati a letto io ho continuato a leggere “Le storie di mia zia” e come mi capita spesso, anzi oserei dire praticamente tutte le sere, a un certo punto mi sono addormentata, ma era così piacevole la lettura de “Le storie di mia zia” che mi son messa a sognare un’altra storia di mia zia di mia invenzione, ma scritta proprio come quelle di Ugo Cornia e anche abbastanza divertente come le sue. Peccato che non me la ricordo più.

tentativo balengo di critica letteraria

Alberto Ragni l’ho conosciuto attraverso il suo blog, dove scrive brevi pezzi incantevoli che parlano di cose inventate, di cose vere, di cose vere che sembrano inventate e di cose inventate che potrebbero essere vere.

Alberto però non è un blogger prestato alla letteratura, e invece sicuramente uno scrittore prestato al blog, che infatti dice di considerare un’esperienza di passaggio. Un passaggio che gli estimatori sperano sia il più lungo possibile, visto che le 30 parole, la vita di MP, i piccoli dialoghi maestro-bambini sono schizzi che uno si appenderebbe in camera da letto come mosaico policromo in divenire.

Ma noi siamo qui per parlare di libro, non di blog.

Il titolo del terzo romanzo di Alberto Ragni è “Cera per le sirene” e prima di leggerlo, il romanzo, ti immagini esseri mitologici con code di pesce e navigatori con le orecchie tappate. Invece no: dalla prima pagina ti accorgi che di ben altre sirene si tratta e che non è a Itaca che ti porterà questo viaggio, ma in un paese molto più vicino e anche, però, del tutto ignoto.

A me che non so (e forse non vorrei) raccontare un romanzo, questo fa venire in mente un libro pop-up, di quelli che piacciono ai bambini perché, aprendosi, fanno sbocciare paesaggi in prospettiva e figure tridimensionali. E infatti “Cera per le sirene” apre la finestra su un microcosmo che in un momento prende vita; anche, io credo, per via dei dialoghi scarni, tutt’altro che letterari, e dei personaggi che hanno un che non di banale ma di quotidiano che te li rende subito familiari.

Corrado, narratore e protagonista, del tutto privo di capacità strategiche nel gioco delle carte quanto nella vita, ti accompagna attraverso un mondo in transito con la leggerezza di chi, a dispetto degli eventi apparentemente infausti, si aspetta altro dal futuro. E i colleghi, la famiglia, i vicini, la casa tu li conosci per mezzo del suo sguardo: più osservatore che partecipe. In attesa, diresti.

Quando ho aperto il libro pop-up ho visto questa storia qui. Una storia che poteva essere solo amara e invece culmina in una specie di festa tra il conviviale e il funebre in atmosfera da archeologia industriale; e in una piccola ripicca liberatoria che non è un lieto fine ma somiglia a un esorcismo contro la rassegnazione.

Il link al blog di Alberto Ragni lo trovate qui di lato (trabucco); il libro, se siete fortunati, in libreria.

 

 

saturday news

Notizia inquietante: ieri, nell’ora e un quarto in cui ho fatto la spesa alla Coop, Lorenzo mi ha aspettato seduto su una seggiolina davanti alle casse leggendo il primo volume de Il Medioevo, a cura di Umberto Eco. Quel bambino mi fa sentire totalmente incolta.

Notizia confortante: ieri, mentre facevo la fila alla cassa della Coop e mio figlio leggeva beatamente di Carlomagno, ho incontrato una che conosco, che a un certo punto della conversazione mi ha detto: “Con quegli occhi lì chi vuoi che se ne accorga se anche hai le zampe di gallina!”. Che io non lo so se sia proprio vero, ma ho deciso di ricordarmelo per i momenti di sconforto.

Notizia agghiacciante: Riccardo ieri sera aveva una festa in pizzeria con gli amici. Per la prima volta ho pensato che forse sarebbe meglio se gli comprassimo un cellulare. Fine di una certezza granitica: che a 11 anni si potesse benissimo vivere senza.

Notizia e basta: mi sono accorta di avere iniziato quasi contemporaneamente tre libri e di non averne terminato nemmeno uno (Philip Roth: Lamento di Portnoy; Insy Loan: Alla fine di questo libro la mia vita si autodistruggerà; Erri De Luca: Il giorno prima della felicità). Ma adesso li finisco, tutti e tre. Vado.