affinità ludica spontanea

E’ da qualche settimana che ogni tanto i miei figli chiedono:”Cosa facciamo a Capodanno?” E io e lo Splendido ci guardiamo come a dire mah, se si fa qualcosa bene, se no siam contenti lo stesso; anche se a casa nostra ogni è occasione è buona per cucinare e questo ormai lo sanno anche i sassi. Ma insomma, non siamo mai stati quelli da veglione trenino e locali affollati, per dire. Casa amici e prelibatezze, quello in effetti sì.

Insomma, alla ventesima richiesta dei figli abbiamo indagato. “Ma voi cosa vorreste fare?” “Noi vogliamo stare coi Magaraggia” Punto. Facile. Detto fatto. Si organizza coi Magaraggia.

I Magaraggia per loro sono quel tipo di amici con cui ci si vede poco ma quelle volte c’è sintonia. I bambini giocano come se avessero un’abitudine a stare insieme che invece non c’è: è puro feeling, affetto immediato, affinità ludica spontanea.
Credo che si debba tenerli da conto quegli amici lì: sono quelli che nei momenti duri un sorriso, un abbraccio o un petardo da scoppiare insieme lo troveranno sempre.

(e poi onestamente il sorriso di Filippo è una cosa che fa iniziare bene l’anno)

Quelli che se non era Natale eran più contenti

Quelli che se non era Natale eran più contenti, a me dispiace per loro, ma credo che se loro sono così, se il Natale gli fa così schifo, non è perché veramente gli fa schifo, ma perché sono stati sfortunati nella vita. Forse gli han dato l’imprinting sbagliato e hanno sviluppato un’idiosincrasia natalizia cronica.

Quelle persone lì, tante, e lo vedi dalle cose che dicono, dall’aria irritata che hanno, da come si esprimono nei socialnetwork – che i socialnetwork si sa che son dei posti in cui uno che la pensa come te, magari anche più di uno, qualunque cosa astrusa tu scriva, lo trovi sempre – lo capisci subito che del Natale l’unica cosa di cui si accorgono è l’assurdità dei comportamenti delle persone.
Ma secondo me il Natale uno se lo costruisce come gli piace: ci sono quelli che fanno la veglia la vigilia e sono contenti; quelli che magari non mettono neanche piede in una chiesa ma gli piace stare in famiglia, con le ciaccole, i bambini, le cioccolate calde e i tortellini; quelli che sono settimane che si annichiliscono in cerca di regali e per loro la festa è quella; quelli che fanno finta di niente, come se fosse un giorno qualunque.

Io, per esempio, sarà un mese che non entro in un negozio che non sia un supermercato per fare la spesa. Regali non ne compro, e non perché sono tirchia, ma perché a casa mia, da sempre, Natale è un’altra cosa.
E’ l’albero scalcagnato che ogni anno diciamo che ne compriamo un altro e poi invece ci siamo affezionati; le palline che la gatta le tira giù un minuto sì e l’altro anche; i bambini che improvvisamente hanno voglia di biscotti, dolcetti, forno acceso di continuo e profumi vanigliosi per casa; gli amici che ti dicono “magari per le feste riusciamo a vederci” e tu speri che stavolta sia per davvero; il tè con le cugine; le poesie dei nipotini più piccoli; la cena della vigilia che quest’anno, ci siamo contati, saremo 38; lo Scarabeo il pomeriggio di Natale, che io ci provo sempre e chissà che  qualcuno abbia voglia di giocare con me.

I regali, l’affanno consumistico compulsivo, lo stress dell’obbligo all’acquisto per amici e parenti li lascio serenamente agli altri, quelli che se non hanno una montagna di pacchi sotto l’albero non  gli sembra neanche festa.
E a quelli che brontolano, se vogliono passare da me gli faccio trovare un pacchettino tutto per loro, con quattro chiacchiere e due biscotti al cioccolato, ché se uno è insensibile a un biscotto al cioccolato allora vuol dire che è irrecuperabile e allora deve solo portare pazienza: pochi giorni ed è tutto finito.

1698 tortellini

Due mani tirano la pasta (venti uova, la pasta).
Quattordici fabbricano tortellini. Nove vassoi che si riempiono. Lorenzo conta.
Sette donne parlano insieme: tre sorelle, tre nipoti, una ragazzina. Intanto, sei bambini bambini giocano.
Fuori c’è la neve, dentro il calore di una cucina affollata. Mentre due uomini, curiosi, ascoltano parole.

Credo, tra l’altro, che siano cappelletti.

fiocca, la neve fiocca

Sono abbastanza convinta che il mondo si divida più o meno in due tipologie di umani: quelli che quando nevica cominciano quasi subito a imprecare e quelli che quando nevica sono felici.
Io è con grande sorpresa che ogni volta mi rendo conto di essere della seconda specie. Anche se è un giorno in cui una nevicata è una iattura; anche se so di dovermi muovere con la macchina e “neve” e “macchina” son due parole che insieme non bisognerebbe mai metterle; anche se la nevicata seria scombina qualunque programma e si sa che la settimana di Natale è abbastanza stracolma di programmi: io quando vedo che nevica mi sento pervasa da un’euforia infantile e del tutto irrazionale, e forse per questo più palpabile e gioiosa. Mi piacciono i fiocchi piccoli e asciutti come palline di polistirolo e anche quelli grossi e pesanti come cucchiaini di granita; guardo il bianco che ruba i colori e mi emoziono, sempre.
Spero, anche, che la neve cada tanta e fitta da bloccare la città per un giorno o due, lo so che non dovrei ma lo spero sempre. Anche oggi, anche se ho già visto le previsioni e so che domani pioverà.

In cuor mio spero che si sbaglino.

diciassette

Probabilmente sono l’unica al mondo che compie gli anni per due giorni di fila: uno è il giorno che risulta dai miei documenti, quello che è stato per anni il mio compleanno; l’altro è il mio giorno di nascita vero, e quello che ho scelto come compleanno autentico.

Il fatto è che mi hanno sempre festeggiata il 18 per pura superstizione: mia nonna diceva che il 17 porta male e al momento della mia nascita, alle 23.59 del 17, appunto, mia madre scelse per me un numero innocuo.
Onestamente, non posso dire di averlo sentito mai veramente mio, il 18. Prima di tutto perché i numeri pari a me non son mai piaciuti; poi perché quel numero lì in particolare, così divisibile, non mi assomigliava per niente. Il 17, vuoi mettere? Un numero che ha l’aria poco socievole e a cui non interessa essere come gli altri a tutti i costi, che sta bene nella sua inequivocabile individualità.

Io nella mia vita mi son sempre sentita un diciassette.

 

 

onirico andante

Ho fatto un sogno dentro a un sogno; e nel sogno sognato c’erano persone e libri, e allegria.
Nel sogno non sognato persone e niente libri, ma vacanze.

Il sogno sognato era più bello del sogno non sognato, come se il sogno sognato fosse una categoria di sogno superiore, una categoria di sogno che non contempla emozioni meno che perfette.
Poi mi germogliavano le mani, ma quando mi sono svegliata ho scoperto che quella era una cosa vera.

un paio di scarpe, una giacca e un cane

Ho sempre avuto un certo pudore a definire quello che nella mia testa si chiama “odore di freddo”, più che altro perché parlare di una percezione olfattiva che non ha senso (non ho mai sentito dire da nessun altro che il freddo odori di qualcosa) mi è sempre sembrato complicato.
Però stamattina, che è una mattina tersa come possono esserlo solo certe mattine d’inverno, in passeggiata con Rubi, quell’odore lì l’ho sentito e c’era veramente, non era un parto della mia fantasia. E’ l’odore che si sente quando arrivi in montagna e l’aria è più fredda e più pulita di come te la ricordavi. Il profumo di quando, dopo una discesa con gli sci, riprendi la seggiovia e respiri forte col naso e pensi che anche con gli occhi chiusi capiresti subito di essere in montagna, anche se non è odore di bosco, di pini; di montagna, appunto: è proprio l’odore della neve e del freddo. In effetti anche se qui non siamo in montagna la montagna stamattina era vicinissima, innevata e luminosa, nel mio panorama mattutino di passeggiata.
Poi sono passata di fianco al calicanto che dopo qualche giorno di pioggia si è riappropriato della fragranza originaria, non bagnaticcia e soffocata dall’umidità, ma fresca e nuova come appena inventata.
E tutto questo: la luce, il profumo, il freddo, il panorama, oggi mi ha raccontato il segreto delle stagioni.

chiara e l’incanto del calicanto

Se è vero che le belle giornate si capisce che son belle già dalla mattina, questa è di sicuro una bella giornata.
Ché quando sono uscita col cane stamattina la prima cosa – che ho sentito – è stata l’aria pulita e fresca, ma non troppo. La seconda cosa – che ho visto – sono stati i primi fiori del calycanthus che qualche vicino ha piantato in un pezzetto di terra di nessuno.
Le guardo sempre, quelle piante sulla terra di nessuno, a penso alle cure che i vicini riservano a questa piccola dépendance di giardino. Quando ho scoperto che avevano piantato il calycanthus ero contenta, ché il calycanthus è una delle poche cose belle dell’inverno, secondo me: oggi che son sbocciati i fiori, a me è spuntata dentro, anche stavolta, la gioia gratis.