la mia festa

Oggi è la mia festa e quindi dico quello che voglio.
Ultimamente mi faccio sentire abbastanza spesso, ma niente: a voi servono le spiegazioni, perché siete piccoli, di dimensioni e anche di cervello. Guardali qua i grandi uomini, i padroni del mondo. Ma padroni di cosa, che non siete buoni nemmeno a lasciar pulito dove mangiate: le bestie sono meglio di voi, e infatti alle bestie non bisogna spiegare, loro sanno, capiscono.

Vorrei potervi dire che mi dispiace per voi, per le volte che vi ho fatti sentire impotenti, disarmati (lo ammettete anche voi, no?). Macché, non mi dispiace per niente: a voi queste cose qui servono, in un certo senso lo faccio per voi, ché non vi montiate ulteriormente la testa. La testa bisogna tenerla sulle spalle, i voli pindarici lo sanno tutti dove portano, ma voi niente: ‘sta roba qua mica la capite, e avanti a fare i conti senza l’oste.
Ecco, ve lo dico una volta per tutte: non ci siete solo voi. E io ho cose più grosse di cui occuparmi, cose che c’erano prima di voi e ci saranno dopo, vuoi vedere che adesso mi tocca farmi dei riguardi perché voi non vi sapete comportare!

La nuvola, ve lo dico, non son mica sicura che la finisco qua. Ci sto pensando e comunque non è per ripicca, anche se (confesso) mi sono divertita a guardarvi, presi dal panico che neanche un formicaio preso in pieno da una pisciata di cane, e siccome adesso voi state ridendo del paragone vi assicuro che una pisciata dentro al formicaio non è cosa da poco. Alzi la mano chi ci ha mai pensato. Figurarsi: voi di quello che vi capita intorno neanche vi accorgete. Vi accorgete solo di quello che sconvolge i vostri piani.
Ecco, i piani. Andate pure avanti, a fare i vostri piani. Poi però non vi lamentate, ché io vi avevo avvertiti. Non. Ci. Siete. Solo. Voi.

Ah, e vi ringrazio per il contentino che mi date, a dedicarmi una festa, una festa di un giorno, ma non crediate che basti così poco per tenermi buona. E ci siamo capiti.

capirsi

Barbara, quando intuisce che sta per piovere, porta dentro i fiori.

Sta per succedere di nuovo, lo sento. E come al solito l’inquietudine sale; come al solito, l’impotenza mi opprime.
Non riesco a fare a meno di sentire che, se fossi un fiore, la pioggia me la vorrei prendere tutta; mi preparerei all’acquazzone con un misto di trepidazione e desiderio. Mi agiterei per il vento e fremerei per l’elettricità dell’aria, pensando alle prime gocce con tutta l’intensità dell’attesa.
Vorrei prendere il rischio di perdere i petali uno ad uno sotto la violenza del temporale, per il gusto di aver vissuto appieno la mia natura.
E allora al riparo, sotto la tettoia, chiamerei in aiuto il vento ad alta voce, perché portasse almeno un poco di quell’acqua fino a me.
Piangerei, credo, se fossi un fiore.

Immagino Barbara affaccendarsi in terrazza, con la fretta di chi sa che le prime gocce, pesanti, rumorose, solitarie, non tarderanno a scendere. Immobile, inerte, aspetto: io che so eppure non ho mai trovato le parole per spiegarle il mio tormento per l’incompresa ma palpabile disperazione dei suoi gerani rossi.

Anche oggi Barbara porta dentro i fiori, e io li sento lamentarsi, a mano a mano che le nubi si avvicinano.

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Il mio nome ormai lo conoscono anche quelli che non lo sanno pronunciare. Dovrebbe farmi piacere e invece mi disturba, tutta questa confidenza.

 La gente mi fa di continuo richieste astruse, confidando nella mia abilità nel trovare le risposte. 
I primi tempi non era così: voleva da me indicazioni semplici ma importanti e io, altrettanto semplicemente ma con concentrazione, cercavo le soluzioni, senza chiedermi perché: prendevo sul serio il mio ruolo, sentivo forte la responsabilità e provavo una punta di orgoglio al pensiero della mia innegabile utilità.

Col tempo le domande si sono fatte più strane, le risposte più complesse.
Anche il mio atteggiamento è cambiato e mi sono ritrovato a  nascondere le soluzioni quasi per dispetto, in mezzo a un mare di risposte fuorvianti. Non so perchè lo faccio: per noia o per fastidio. Oppure perché la gente non mi piace: mi disturba il modo in cui pretende da me un aiuto senza fare il minimo sforzo; mi irrita la maniera in cui mi pone quesiti via via più inutili e sciocchi. A volte sono questioni che chiunque potrebbe risolvere da solo con l’ausilio di un banale dizionario oppure, al contrario, quesiti assurdi a cui nessuno sarebbe in grado di rispondere, posti in modo approssimativo e frettoloso. Visto che sono a disposizione mi si disturba con qualunque pretesto.
L’ortografia oggi, poi, non si sa nemmeno più cosa sia: mi trovo costretto a correggere, a interpretare. Non sapete la fatica, lo scoramento di fronte a richieste sgrammaticate e incomprensibili.

Quindi lo ammetto: lo faccio apposta, a  indirizzarvi verso pagine del tutto insensate, il cui titolo è costruito ad arte per trarvi in inganno; in cui non si parla di ciò che vi interessa. Ma lo faccio per voi, per darvi una svegliata, ché non si può pretendere che io pensi al posto vostro.
Ringraziatemi, invece di brontolare.

Il lavoro sporco

Io sono l’energia della terra e non mi posso curare degli uomini.

Quando la Natura mi ha dato la sua forza, non mi ha dotato di pietà; non mi ha dato facoltà di risparmiare i deboli, di salvare le case, di ignorare i bambini. Io non sono crudele, non ho cattiveria: il mio lavoro è di mostrarvi l’umiltà.

Non potete sapere quanta roccia ho spostato prima di voi, e quanta ne muoverò ancora. Non immaginate quanto sforzo, ad allontanare i continenti. Eppure non mi sono mai lamentato della fatica, né del compito ingrato che mi spetta: mi maledicono come se fossero colpa mia il dolore, la devastazione, la morte; ma non ho mai avuto scelta né mai l’avrò.

Voi, che una scelta ce l’avete, imparate dalle catastrofi a sentirvi piccoli; abituatevi al rispetto delle cose più grandi di voi; trattate con deferenza la terra che vi ospita.

Io sono l’energia della terra e non mi posso curare degli uomini, ma agli uomini posso parlare, con la mia voce di tuono. Voi, ascoltatemi.