Cominciamo bene

Mi sveglio che per me è ancora notte con il tic, tic dell’iPod che seleziona brani, e lo schermo che illumina la stanza come un piccolo faro.
Saranno le sei, e lui non dorme più. Anche ieri sera, lo scopro più tardi, mentre io dormivo si è alzato a fare un giretto per la casa e poi per addormentarsi si è ascoltato i Genesis. E’ per quello che l’iPod è sul comodino, e stamattina all’alba è già in moto.

Io di svegliarmi del tutto alle sei non ci penso nemmeno: mi crogiolo nel caldo buio del letto e mentre mi sto chiedendo quale musica sia, adesso, mi accorgo che, con delicatezza, mi sta infilando un auricolare nell’orecchio.

Esco definitivamente ma dolcemente dal sonno con questa canzone.
Non c’è da stupirsi se, poi, la giornata prende una bella piega.

Spettroscopia

Cera un uomo che si lavava con il sale e si deodorava con i sassi. Il sapone non gli piaceva perché, diceva, sporca tutto quello che non pulisce (e aveva ragione). Anche per questo, forse, il suo profumo era del tutto inafferrabile; forse, anzi, non cera: perché se gli passavi accanto ti pareva di sentirlo ma poi non riuscivi a ricordarne nemmeno una nota.

Aveva, sul viso, due rughe scavate da lacrime asciutte, e parlava una lingua di sguardi muti.
Aveva girato il mondo perciò conosceva tutte le forme della luna; e con la luna ogni tanto parlava, come si fa con unamica. Lei rispondeva, di volta in volta, in una lingua o nellaltra: avresti detto che erano fatti della stessa creta, invece la luna era di polvere e pietre; lui di respiro e silenzio.

 
Sapeva cantare carezze della buonanotte con mani di piuma che dinverno aveva seccate dal gelo, sulle nocche; e regalare piccoli baci leggeri sulle labbra alle ragazze che salutava sulla porta.
Come un gatto, raccontava delle sue molte vite, ognuna modellata sulle sue ossa ma talvolta vissuta con fatica.

Cosa cercasse non lo sapeva nessuno: lo si vedeva, inquieto, annusare la strada, che percorreva senza esitazione con lintuito del geografo.
Dicono che una volta abbia avuto paura di perdersi, ma poi abbia guardato il cielo e trovato una costellazione.

Omeopatia in mp3

Sono sempre stata una per cui la vigilia è più dolce del Natale, il sabato comunque meglio della domenica, la primavera certamente più eccitante dell‘estate. Ho sempre sofferto e goduto insieme, delle attese: dei viaggi in treno tornando a casa, dei bambini per tanti ma troppo pochi mesi nella pancia, dei piccoli cambiamenti che preludono alle grandi rivoluzioni. Ho sempre pensato che l’attesa sia aspirazione, mancanza, desiderio; e che niente possa essere più desiderabile del desiderio.

Le grandi aspettative, qualche volta, vengono deluse. Qualche volta. Ma qualche volta no.

Ci sono novità che, quando arrivano, fanno bene. La musica è una di quelle. Questa musica in modo speciale; che la riconosci anche se non l’hai mai sentita prima; che ci trovi dentro pezzi di te e parole che capisci; che ti viene voglia di fartela entrare un po’ nelle ossa, ascoltandola e riascoltandola.

Lo so che forse non è proprio del tutto il mio genere; che io sono quella che si sgola ai concerti; che quando sono giù di corda ascolto roba rumorosa a tutto volume; che le canzoni un po’ malinconiche dovrebbero mettere tristezza. Tutto vero. E invece quella di Joe Barbieri è una specie di malinconia omeopatica, un rimedio contro il malumore, una carezza che fa sorridere.

Io, questa musica, l’ho aspettata, e adesso me la godo.

 

Idee brillanti

Per prima cosa, la luce. Spegni le lampadine, se puoi, e per una volta fai il romantico e riesuma candeline e candelotti tra l’estivo e il natalizio, ché il connubio tra la citronella e la vaniglia potrebbe avere effetti inaspettati. Spegni il cellulare così poi non devi ricaricarlo.
Per cena va bene tutto, ma il forno non accenderlo, e anzi piazzaci dentro quattro lumini così diventa una lanterna. I bambini apprezzeranno.
Se si è in due, che discorsi: si dice atmosfera suggestiva garantita. Con il contorno di figli o amici si può sempre chiamare gioco.

La serata è tutta da decidere. Di sicuro la tele resta a riposo. Il pc, lo stereo, la playstation anche. Hai mai giocato a Scarabeo senza luce? Hai mai letto, come le nonne, a lume di candela? Da quanto tempo non fai l’amore al buio?Ecco. Quella sera lì si potrebbe passare facendo l’amore al buio, che si riesce benissimo lo stesso.

Facciamo ognuno a casa sua, magari: l’amore, dico.

M’illumino di meno  il 13 febbraio. Scrivilo sul calendario, così non te lo scordi.

Gioia 100% bio

I mandarini vado a cercarli da Natura Infinita, pensando che solo dei maniaci dell’alimentazione natural-bio-meglio-se-macrobiotica siano così pazzi da vendere roba che non vuole nessuno.
Perché il mandarino è un frutto assai snobbato, di questi tempi. Il colore slavatino e opaco non ha nulla dell’arancio lubrificato brillante che splende dalle cassette dei mandaranci garantitisenzasemi di tutti i fruttivendoli, mercati e supermercati del Paese.
Già, perché la sfiga massima del mandarino è la quantità di semi che contiene: se non lo vedi non ci credi.

Io, comunque, i mandarini li compro perché ci devo fare la marmellata. I semi servono, per la marmellata. In quattro e quattr’otto li metto da parte in una tazza d’acqua, e faccio a pezzetti il resto. Quando dico “il resto” intendo tutto: scorza e polpa. Il bello degli agrumi è che per farci la marmellata non devi nemmeno sbucciarli.

Le nonne raccomandano di usare pentole che non siano di alluminio. Io pignatte di alluminio non ne ho, vado tranquilla: aggiungo lo zucchero alla frutta, metto il coperchio e vado a letto.

Quando la mattina scendo in cucina, mi accoglie un profumo che sa di infanzia, di giorno della Befana, di caramelle di zucchero, di gelatine di frutta, di dolci che i bambini di oggi forse non conoscono, poveri loro. Aggiungo l’acqua in cui sono stati a bagno i semi e accendo il fuoco. Dopo una mezz’oretta, devo ammetterlo, nell’aria aleggia un odore che sa vagamente di farmacia; ma io porto pazienza, lo so che è solo una fase transitoria. Infatti, nel momento in cui la marmellata è cotta, l’aroma del mandarino è tornato la delizia che deve essere e riempie la cucina di promesse.

Lo senti, tu che leggi, quel pizzicore sulla punta della lingua? Questa, lo sai, non è una marmellata qualunque: nel vasetto trasparente ha il colore del sole di agosto, e ti chiama come l’estate per un appuntamento mattutino su una fetta biscottata o un pezzetto di pane caldo.
Acidula, dolce e lievemente amara, ti lascia in bocca l’allegria della sorpresa anche in una giornata d’inverno grigia come la tristezza.

 

 

(I feel) numb

La sensazione, netta, vivida, fastidiosissima, è quella di essere straordinariamente e irrimediabilmente priva di talenti.

La cosa è in totale contrasto con tutto quello che ho sempre pensato e predicato: che chiunque, anche il più incapace, scriteriato, sciamannato della terra debba per forza avere una qualità (magari una sola) di cui possa dirsi soddisfatto.

Saranno la congiuntura astrale, la posizione deprimente della lancetta del barometro, il livello ormonale non ancora in ripresa: non lo so. Ma ecco, sentirmi l’unica al mondo senza uno straccio di dote mi fa un pochetto sfiga.

Mi sa che oggi finirò per buttarmi sul carboidrato (dicono che faccia bene all’umore): ho giusto una pagnotta col sesamo appena uscita dal forno.

Lorenzo, il magnifico

Dicono che se la ginnastica artistica fosse facile si chiamerebbe calcio.  Ripenso all’aria afflitta del mio bambino quando sabato, alla sua prima gara a squadre, ha sbagliato il salto al volteggio.

L’ho guardato mentre cercava di mandare indietro le lacrime, fingendo di essere allegro per non mostrarsi fragile. Per tutta la gara ha evitato il mio sguardo per evitare di piangere; per tutta la gara l’ho abbracciato con gli occhi, orgogliosa come non mai della sua tenacia.

 Non è facile, quando hai otto anni e sei teso e spaventato, sbagliare il primo attrezzo e andare avanti lo stesso. Non è facile quando la squadra di tuo fratello, più grande, più forte, più bravo, arriva seconda mentre la tua arriva ultima. Non è facile accettare la responsabilità, tutta tua, della sconfitta.

 La ginnastica non è difficile perché è difficile. E’ difficile perché ti mette ogni giorno di fronte ai tuoi limiti e ti chiede di superarli.

Sabato il mio bambino ha vinto la sfida. E’ stato un grande risultato, secondo me.

Strani amori

Il Lungarno vicino al Ponte alle Grazie, quando piove.
Il giardino di Boboli quando era davvero un giardino, e potevi andarci a studiare.
Il ponte dell’isola Tiberina, dalla parte della sinagoga, che non so come si chiami.
Via del Portico d’Ottavia, chissà perché.
Piazza Navona la mattina presto, quando i turisti dormono ancora.
Rialto la sera tardi, quando i turisti dormono già.
Corso Palladio, quando poco dopo il tramonto guardi verso ovest.
La volta in cui, a Merzouga, ho visto l’inizio del deserto e ho pensato che non si vedeva la fine.
Noirmoutier, un po’ isola e un po’ no; un po’ oceano e un po’ Mediterraneo.
Quando, in vacanza con mia cugina, si arrivava ogni mattina in treno alla Gare du Nord e Parigi era tutta da scoprire.
Milano, il giorno che ho scoperto che certe volte c’è il sole anche lì.

Viene da sola, prende un po’ alla sprovvista; e mi lascia un poco stordita, appena appena incredula; e poi, quando passa, mette nostalgia, la nostalgia.

Ora di pranzo: panico.

Decido che faccio il risotto con quello che ho in frigo.Nel risotto, lo sanno tutti, si può mettere (quasi) qualunque cosa. Solo che, al momento, il mio frigo è abbastanza sguarnito: di compatibile con un risotto ci trovo solo una cipolla e un pezzo di zenzero. Che lo zenzero sia compatibile lo decido lì per lì, perché in realtà il risotto con lo zenzero fino a oggi non sapevo che esistesse. Ma io ci provo.

Il brodo vero, che discorsi, mica ce l’ho. Però ci sono i dadi senza glutammato, li faccio andare bene lo stesso. Visto che ci sono decido che uso anche quel goccio di latte che mi è avanzato stamattina dalla colazione: vado con una brodaglia lattiginosa che farebbe invidia a Strega Varana della Melevisione.

La cipolla e lo zenzero a pezzettini si incontrano nella pentola e mi pare che si piacciano: insieme soffriggono che è una meraviglia e il profumo lascia ben sperare.

Per il resto, il risotto si fa come tutti i risotti del mondo: il riso a tostare, il brodo a poco a poco fino a cottura; alla fine una noce di burro, una grattata di parmigiano e i due minuti canonici di meditazione prima di assaggiare.

Assaggio. Anzi, mangio: è buonissimo. Piccante senza essere piccante, intrigante ma non bizzarro, lascia un calore sconosciuto e gradevole nella pancia. I tre quarti della famiglia apprezzano. Il quarto quarto dice che pizzica, ne mangia solo metà, il che è già un successo.

Mi sa che lo preparo ai prossimi che vengono a cena; si accettano auto-inviti: garantisco che il brodo lo faccio il giorno prima con il pollo e non con le ali di pipistrello.

 

 

Do you know bagigi?

“Spritz Aperol?” : la barista lo accoglie come si fa con un cliente abituale.

“…e un sorriso, grazie”  risponde lui, sorridendo per primo.

 

E’ un uomo grande e scuro, giacca e cappello grigi e l’aria rilassata da sabato mattina.

 

Sgranocchiando arachidi aggiunge: “Al mio paese si producono soprattutto bagigi”

Lo pronuncia bacici, con un accento che mette allegria.

E poi, com’è arrivato, riparte.